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Perché si dimentica

La demenza è caratterizzata da un deterioramento delle funzioni cognitive e di comportamento. Una delle più frequenti cause di demenza è rappresentata dalla malattia di Alzheimer.

I sintomi di esordio sono comuni a tutte le forme di neuro-degenerazione e sono di tipo cognitivo; nel tempo si aggiungono disturbi comportamentali, psicopatologici, neurologici.

A grandi linee si possono distinguere tre fasi:

  • Una fase iniziale che si presenta con disturbi della memoria soprattutto nel ricordare eventi recenti, cui possono associarsi anche difficoltà del linguaggio. La persona si ripete nelle espressioni, tende a perdere gli oggetti, spesso a smarrirsi e non ritrovare la strada di casa. Anche la sfera emotiva ne risente, il paziente può mostrare irritabilità, imprevedibilità nei comportamenti. In questa fase i pazienti si rendono conto dei loro insuccessi e si chiudono in se stessi, evitando situazioni che possono metterli alla prova. Questi disturbi possono non essere presenti tutti inizialmente, ma presentarsi nel tempo.
  • Nella fase intermedia i disturbi cognitivi si accentuano, il malato si avvia a una progressiva perdita di autonomia, può avere deliri e allucinazioni e richiede un’assistenza continua. In questa fase non è più presente la coscienza di malattia.
  • La fase severa o avanzata della malattia è caratterizzata dalla completa perdita dell’autonomia: il malato smette di mangiare, non comunica più, si muove poco.

La durata di ogni fase è variabile e molto spesso le varie fasi si sovrappongono. La durata media della malattia è stimata tra gli otto e i vent’anni.

Tra le aree cerebrali principalmente interessate le regioni corticali e l’ippocampo, aree del cervello direttamente deputate alle funzioni cognitive e alla memoria. L’ippocampo è la struttura che viene maggiormente colpita e che diventa rapidamente atrofica. Successivamente la malattia si estende alle regioni frontali e temporali anteriori, poi al lobo occipitale, infine le aree motorie primarie e le strutture del tronco encefalo.

I cambiamenti patologici chiave osservati nel tessuto cerebrale di questi pazienti sono rappresentati da un incremento nei livelli di peptide β-amiloide (Aβ) che si deposita nello spazio extracellulare e un aumento della forma iperfosforilata della proteina tau (p-tau), una proteina di assemblaggio dei microtubuli che si accumula all’interno delle cellule come tangles neuro fibrillari (NFTs). Inoltre, si osserva una diffusa perdita di neuroni e sinapsi.

I meccanismi che conducono a questo quadro patologico non sono del tutto chiari, ma, quando queste caratteristiche neuropatologiche sono presenti, conferiscono una diagnosi definita di malattia di Alzheimer.

Studi osservazionali e sperimentali hanno portato all’identificazione di fattori di rischio e fattori protettivi associati alla demenza e alla malattia di Alzheimer.

Tra i fattori di rischio la presenza di malattie cerebrovascolari, l’ipertensione arteriosa, il diabete tipo 2, il peso corporeo, i livelli di lipidi plasmatici, il fumo di sigaretta, i sintomi depressivi e lo stress psicologico, le lesioni traumatiche del cervello.

Tra i fattori protettivi l’alimentazione, l’attività fisica, l’attività mentale, ossia la stimolazione delle attività cognitive come l’apprendimento e la lettura che possono migliorare la memoria.

È bene precisare che molti di questi risultati sperimentali ed epidemiologici spesso sono conflittuali.

La malattia di Alzheimer viene classificata in base all’età di insorgenza: il 95% dei pazienti che la manifesta ha un’età superiore ai 65 anni, la cosiddetta late-onset; 1-5% dei casi mostra una precoce insorgenza, tipicamente alla fine della quarta decade di età o nei primi 50 anni, la early-onset. Le due forme sono clinicamente indistinguibili, la late-onset è generalmente più severa e associata ad una più veloce progressione. Esistono inoltre due distinti pattern di epidemiologia genetica per le due forme con geni associati e mutazioni responsabili e fattori di rischio.

La maggior parte dei casi si presenta in maniera sporadica ed una percentuale inferiore come forme familiari.

Non esiste uno specifico trattamento farmacologico:i farmaci utilizzati possono alleggerire i sintomi o prolungare i tempi fra le fasi. Non esiste un farmaco in grado di bloccare l’andamento patologico degenerativo, quelli che vengono utilizzati favoriscono  la trasmissione chimica fra le cellule e rallentano il deterioramento cognitivo (inibitori dell’acetilcolinesterasi, antiossidanti, memantina, etc), in associazione ai farmaci per i disturbi comportamentali (antidepressivi, ansiolitici, antipsicotici, ipnotici, etc).

Un ruolo importante rivestono le terapie non farmacologiche, le cosiddette terapie dolci.

Fra queste degna di nota la doll therapy o terapia della bambola. Attraverso il rapporto con la bambola il paziente recupera la funzione di accudimento, si rilassa e diminuisce in lui lo stato di agitazione.

L’hortocultural therapy ossia la cura dell’orto, che consiste in attività di giardinaggio e coltivazione di ortaggi e piante donando benessere psico-fisico permettendo di svolgere attività all’aria aperta.

La musicoterapia, il paziente si rilassa attraverso l’ascolto della musica e seguendo il ritmo. Ascoltando canzoni e brani del proprio passato si stimola la memoria.

Snoelezen room, stanza piena di luci, colori, suoni e materiali differenti. Si agisce sul benessere del paziente attraverso la stimolazione dei cinque sensi, il tutto all’interno di una camera calmante e rilassante.

Anche l’ambiente svolge una azione terapeutica sulla demenza così come l’arteterapia: visite ai musei, attività artistiche di pittura, musica e danza offrono benefici nelle fasi moderate.

Le sollecitazioni percettivo-sensoriali svolgono una funzione benefica sui pazienti: la produzione di emozioni positive ha un effetto positivo sui pazienti e rallenta la progressione della malattia.

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